"La frontiera-paradiso" di Giovanni Lilliu Articolo pubblicato sul quotidiano francese “Le
- Marco Pau
- 24 set 2016
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Qual singolare destino storico quello della Sardegna: posta quasi costantemente sotto una dominazione estera, essa ha sempre resistito!
È un miracolo, se si pensa che quest'isola, per la sua posizione geografica in un mare continuamente percorso dai vicini di fronte e dagli stranieri, è un punto di sbocco. Ancora un miracolo se si valuta che la vasta solitudine dei suoi spazi (si parla di essa come di un "continente") ha invitato ed invita a riempirli d'uomini di ogni razza, sotto qualsiasi pretesto ideologico ed economico.
La tradizione storica, l'umore naturale, la legge mediterranea della montagna, hanno fatto e fanno di quest'isola la classica "terra marginale", una "terra" che si accetta "dal di fuori", in virtù d'un carattere morale, antagonista e ribelle, quasi un istinto di "frontiera".
Vi son passate e vi passano le emozioni, i desideri, e persino le prospettive più o meno confuse di un movimento di liberazione.
Se i Sardi son portati per natura ad una costante diffidenza di fronte a tutto ciò che viene dell'esterno, ciò accade in virtù dello spazio legato alla montagna, o di ciò che viene chiamato, a torto, "una subcultura della violenza", di uno spirito ferito e che rivendica l'autonomia della cultura sua propria, ridotta dai colonizzatori antichi e recenti ad una sorta di "riserva indiana". Salvo il tempo d'un bagliore, all'epoca della storia precoloniale, i Sardi non hanno mai conosciuto il senso e la virtù del mare. Essi ne hanno un concetto "diabolico", e l'hanno per tutti quelli che lo percorrono e giungono a toccare le loro coste, a fermarsi su quest' "isola terrestre". Per noi, per la nostra poesia, per la nostra cultura, per la nostra storia millenaria, il mare è il diavolo, ed i navigatori stranieri sono anch'essi diavoli (o dei ladri, che è la stessa cosa). Forse questo è il frutto di tutti gli episodi di frustrazione ed umiliazione. Lo sviluppo interno è bloccato poiché il mare, oggi impero del neocapitalismo e dell'imperialismo italiano ed europeo, è interdetto alla Sardegna ed ai Sardi, eccezion fatta a livello subalterno, a quello della mediazione indigena, del profitto dei petrolieri e delle compagnie turistiche.
Il "sardismo" è un grande processo ideologico, politico e culturale, della storia della Sardegna. Sorto sei secoli prima di Cristo, quando i cartaginesi scacciarono i Sardi verso le montagne, li chiusero nella "riserva" e divisero l'isola in due parti: quella dei maquis "partigiani" e quella dei "collaborazionisti", il "sardismo" ha accompagnato le evoluzioni dell'isola fino ai giorni nostri, con segni e manifestazioni diverse, ma sempre orientate verso un medesimo fine: riconquistare "la nazione perduta", rivendicare "la nazione interdetta", riguadagnare "la frontiera-paradiso".
È in tutta una serie di avvenimenti storici che il "sardismo" s'è sovente sviluppato nel dramma e nella violenza: la guerra di liberazione contro i romani; i Giudicati (i "giudici" divenuti signori dotati di poteri militari e civili, derivavano direttamente dai sufeti fenici e dagli arconti greci e bizantini); l'ostilità ai piemontesi alla fine del diciassettesimo secolo; le reazioni alla "fusione" del 1848; la fondazione del movimento e del Partito Sardo d'Azione negli anni che seguirono la prima guerra mondiale; "l'autonomia" acquisita con lo Statuto Speciale del 1948.
Il "sardismo" non è in declino, dal momento che si riparla di "nuova autonomia".
E difficile comprendere il "sardismo" per chi non è sardo o non conosce profondamente la storia e la mentalità della Sardegna. Esso è tante cose in una volta: razionalità, istinto, esperienza storica, pulsione d'affetti nati dall' "essere sardo" concepito come un fratto speciale e differente.
Il "sardismo" è soprattutto il gusto d'essere se stessi, come il Sinn Feinn degli Irlandesi.
Tutti i Sardi l'hanno sempre sperimentato, l'uomo del popolo attraverso l'istinto, attraverso una tradizione lontana ed ininterrotta che deriva dagli avi; l'intellettuale in ragione di un'elaborazione teorica che non è ancora conclusa; l'uomo politico in virtù d'una pratica di governo che non è ancora pervenuta al livello dell'autodeterminazione sovrana. Tutto il mondo insomma.
Il "sardismo" passa attraverso tutti i partiti politici che operano in Sardegna, persino i partiti nazionali, anche se questi ultimi sono talvolta considerati come le agenzie "italiane" del neocapitalismo, dell'imperialismo del Nordeuropea, che produce il sottosviluppo del Mezzogiorno e delle isole, considerate delle colonie in virtù d'un determinato processo dell'unità nazionale italiana fondata sull'ineguaglianza.
Il "sardismo" oggi, questo cemento ideologico e psicologico insulare, è attaccato da una grande "forza d'urto", l'industrializzazione neocapitalista e monopolista. La cultura sarda fa fronte al più vasto pericolo di aggressione e d'integrazione, con la "sommersione” che ne consegue, la più grande che si sia registrata nella storia delle conquiste coloniali della Sardegna.
Se i responsabili provvisti d'un autorità, specialmente i politici, non vi sopperiscono urgentemente, proponendo un'altra soluzione all'attuale processo di sviluppo assolutamente "esterno" alla Sardegna, l'ultimo arrivato dei colonizzatori otterrà ciò a cui non sono giunti i colonialismi di tutte le epoche: la distruzione dei valori caratteristici questo popolo, la sua riduzione a semplice espressione geografica nel mercato comune di una cultura pianificata, globale, massificata, di un prodotto culturale in scatola, di un prodotto della meccanica, alienato da un cervello elettronico.
Forse l'ultimo arrivato dei colonizzatori riuscirà in quello che non hanno saputo fare gli altri, ciò che non ha fatto neppure la "nazione" italiana, fosse ciò a mezzo del sotterfugio dell'Europa unita. E la "nazione" sarda diventerà un iceberg destinato a colare a picco, a dissolversi nei vapori dell'inquinamento totale portato da un'industrializzazione inumana, nella bara liquida del Mediterraneo, così come minacciava il poeta Sebastiano Satta, in un accesso di disperazione e di rabbia contro la terra ch'egli amava.