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Economia, Salute e Ambiente


Un’economia si può considerare sostenibile se è in grado di evitare sprechi di risorse e inquinamenti, che possono mettere a repentaglio gli equilibri ambientali e la salute umana. Ma l’attuale sistema produttivo lineare produce rifiuti ed ha favorito il cambiamento climatico, l’inquinamento atmosferico, la contaminazione delle acque, la rottura dei cicli biogeochimici, con lo sviluppo di nuove malattie, di tipo cronico-degenerativo. Questo aspetto pare non rientrare tra le discussioni della riorganizzazione del servizio sanitario regionale con l'azienda unica. Ritmi e ambienti di lavoro, stress, inquinamento ambientale, alimentazione eccessiva, per citare alcuni esempi, hanno favorito le patologie ad andamento cronico-degenerativo come le malattie cardiocircolatorie, le disfunzioni metaboliche, i tumori. Questo gruppo di malattie ha acquistato un particolare rilievo non solo da un punto di vista sanitario ma anche economico e sociale rappresentando, al momento, il più rilevante problema per la Sanità Pubblica. L’arma di lotta più efficace disponibile nei confronti di queste patologie, per il momento di difficile guarigione, è rappresentata dalla prevenzione primaria. Già nel 2006 l’OMS ha riconosciuto che circa 1/4 delle malattie è causato da fattori ambientali, ma i bambini sono molto più sensibili degli adulti all’effetto degli inquinanti: possiamo affermare che i rischi legati all’inquinamento sono tanto maggiori quanto più precoce è l’esposizione del soggetto. L’inquinamento atmosferico e il particolato in esso presente è stato riconosciuto nel 2013 cancerogeno per l’uomo dall’Agenzia per le Ricerche sul Cancro (IARC, 13). Da quanto appare nel dibattito sul riordino della sanità in Sardegna non c’è spazio per la prevenzione e per la precauzione, ma solo per interventi mirati a curare i danni avvenuti, interventi che richiedono nuovi consumi di farmaci, peggiorando l’attuale crisi, anche economica. Fino ad ora in Sardegna si è parlato prevalentemente di un riordino della spesa per la sanità (la qualità appare un auspicio). Anche l'ex Assessore regionale Nerina Dirindin, in una lettera pubblicata sulla stampa sarda, fa un dettagliato elenco delle importanti somme che Stato e Regione si rimpallano da anni. E' pur vero che la Regione deve ottenere dallo Stato il rispetto degli impegni assunti nel 2006. Ma è altrettanto vero che la Regione deve darsi un indirizzo di “Politica della Salute”. Attualmente appare che la Giunta abbia un percorso politico di tipo “lineare”: ogni assessorato percorre una sua strada autonoma, non collegata con gli altri. Gli assessorati non sono padroni del futuro della popolazione sarda. Gli Assessori in quanto deputati alla gestione della cosa pubblica devono interagire tra loro, come esseri pensanti e quindi responsabili delle proprie azioni, devono rispettare delle regole che permettono un uso razionale delle risorse. I consumi devono essere quantitativamente e qualitativamente sostenibili. Così la scelta dei prodotti deve riguardare le modalità con cui sono stati prodotti, i materiali che li compongono e la loro origine, la loro durata, la loro riciclabilità, evitando consumi superflui. Analogo discorso va fatto per l’uso dell’energia, dell’acqua e dei trasporti. Ciò significa non solo rispettare il patrimonio naturale, considerando piante ed animali come organismi viventi, con proprie caratteristiche genetiche, frutto di una lunga evoluzione che ha garantito un’ampia biodiversità, essenziale perché i processi naturali possano continuare ad offrire a tutti i viventi tutto ciò che serve per la loro vita e agli esseri umani quel benessere che è alla base della vera salute. Adottando una politica circolare, la Regione Sarda avvierebbe la valorizzazione negli specifici territori delle iniziative di economia circolare in quattro settori: rifiuti, trasporti, energia, alimentazione. Il tutto fornisce una indicazione di prospettiva per lo sviluppo di nuovi assetti organizzativi del Servizio Sanitario: se il Chronic Care Model, assetto funzionale ed organizzativo della sanità territoriale in cui vi è una forte interazione tra territorio, istituzioni, comunità ed equipe socio sanitario nella prevenzione ed assistenza alle malattie cronico degenerative, assume gli sviluppi territoriali ora possibili in direzione della Economia Circolare, si potrebbe arrivare ad una situazione in cui la maggiore chiarezza ed i risvolti applicativi della Economia Circolare concorrono a definire cosa può fare un territorio per promuovere la salute di chi ci vive, riportando nel Distretto una prevenzione primaria. Riprendo quanto ha scritto la Senatrice Dirindin attuale componente della Commissione Sanità: “ L'imponente riorganizzazione del servizio sanitario regionale con l'Azienda unica richiede gradualità, condivisione, coinvolgimento degli operatori, attenzione ai più deboli e ai territori più decentrati. Un progetto così ambizioso non può essere realizzato dall'alto, concentrando l'attenzione solo sui bilanci. Le riforme costano; possono anche produrre risparmi, ma ci vuole tempo, altrimenti producono solo scontento e peggiorano l'assistenza”. La Sanità oggi, e quella del futuro, è sempre più orientata al territorio, attraverso un’offerta modulata sui bisogni non solo sanitari, ma anche socio-sanitari, per lo più legati all’invecchiamento della popolazione e alla presenza di patologie croniche destinate ad un continuo e progressivo incremento. In questo modello di Sanità, che si deve rivolgere sempre più alla prevenzione e al territorio, con Ospedali dedicati al trattamento delle acuzie, l’Infermiere delle Cure Primarie, insieme al Medico di Medicina Generale e al Medico di Comunità diventano le figure cardine, su cui fondare i nuovi modelli organizzativi, gestionali e clinico-assistenziali dell’assistenza territoriale. Il Servizio Infermieristico Territoriale in Sardegna ha assicurato negli anni la presa in carico dei soggetti a domicilio con modalità differenti nelle varie ASL. Oggi con la nascita dell'ATS e ASSL, è necessaria una organizzazione incentrata sulla presenza in strutture territoriali polifunzionali. La riorganizzazione territoriale con l’apertura delle Case della Salute, dovrà rivisitare nel suo complesso il modello organizzativo dell’Assistenza Domiciliare, in stretta collaborazione con i Medici di Medicina Generale, raggruppati funzionalmente in Aggregazioni Funzionali Territoriali (AFT), che rappresentano la cornice nella quale sviluppare il nuovo modello di assistenza primaria e di presa in carico della cronicità. L’obiettivo delle AFT, organizzazione monoprofessionale della Medicina Generale, con bacino di utenza di circa 30.000 assistiti, composte da circa 20-25 medici, dovrà essere quello di affidare ai medici afferenti, secondo obiettivi definiti e concordati con l’Azienda Sanitaria, la tutela della salute della popolazione di riferimento, omogeneizzando i percorsi, sviluppando l’assistenza sul paziente affetto da cronicità e favorendo l’empowerment dei propri assistiti, secondo il modello del Chronic Care Model. A seguito di questa nuova modalità aggregativa della Medicina Generale, si rende inevitabile una riorganizzazione del personale infermieristico impiegato funzionalmente nella assistenza domiciliare, rivisitando i rapporti di lavoro ed i modelli organizzativi nell’ambito del territorio, apparendo ormai superata la suddivisione per ambiti geografici e/o di presidio distrettuale, rimodulando l’offerta legata all’assistenza territoriale. Credo siano maturi i tempi perché gli Infermieri di Comunità/Famiglia garantiscano una presenza per 12 ore al giorno, tutti i giorni ad eccezione della domenica dove saranno garantite, comunque, 6 ore di assistenza domiciliare, una grande varietà di attività, così raggruppate nelle seguenti macro-aree:

- Attività Domiciliare programmata: che permetta la presa in carico di utenza per un periodo limitato di tempo (max 60 gg rinnovabile), con valutazione mensile degli outcome, al fine di gestire problematiche post-acuzie, sostenere ed educare il caregiver;

- Expanded Chronic Care Model Medicina di Iniziativa: attività programmata da svolgere in ambulatori dedicati per i principali PDTA (Percorsi Diagnostico Terapeutici Assistenziali), per diabete, scompenso, BPCO, post ictus;

- Chronic Care Model domiciliare: al fine di permettere la presa in carico dell’utenza per un periodo di osservazione più lungo al fine di gestire le problematiche legate alla cronicità e attuare prevenzione terziaria. Questa attività dovrà essere gestita di concerto con i MMG delle AFT e, se necessario, un medico potrà essere disponibile alla visita domiciliare nelle fasce orarie pomeridiane programmate;

- Dimissioni difficili e urgenze: al fine di permettere di gestire nell’immediatezza le urgenze territoriali senza necessità di ricorrere al Pronto Soccorso e di essere presenti a domicilio in caso di dimissioni difficili. Questa attività dovrà essere gestita di concerto con i MMG delle AFT e, se necessario, un medico potrà essere disponibile alla visita domiciliare nelle fasce orarie pomeridiane programmate.

L’implementazione del nuovo modello di organizzazione dei servizi e dei flussi, deve consentire al PUA di conoscere in tempo reale la disponibilità presente e futura di letti delle strutture di cure intermedie, in base alla previsione di dimissione dei pazienti ricoverati, in modo da supportare una tempestiva e appropriata dimissione ospedaliera, con l’offerta di tutto il possibile ventaglio di azioni sanitarie e socio-sanitarie integrate, con particolare riferimento alla domiciliarietà (ADI).

Da un punto di vista professionale il vantaggio che si prevede è quello di uscire da un inquadramento meramente prestazionale per assumere un ruolo strategico nella erogazione dei servizi assistenziali sul territorio. Una politica di razionalizzazione del sistema sanitario, tesa ad evitare ricoveri impropri e “degenze sociali”, richiede una organizzazione territoriale adeguata e coerente con le reali necessità della popolazione.

In conclusione diciamo che si ritiene indifferibile e comunque utile ed opportuno che nel riordino del servizio sanitario regionale si devono richiamare le discipline che concorrono a definire la sanità pubblica a partire dalla promozione e l’educazione alla salute, senza escludere gli ambiti di formazione importanti per chi si dovrà occupare di sanità pubblica - come l’epidemiologia, la biostatistica, l’antropologia, la tossicologia, l’igiene del lavoro, la salute dell'ambiente, ma anche la programmazione e l’organizzazione dei servizi socio sanitari.

Bosa, 25 febbraio 2017


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