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La questione nazionale sarda è l’autodeterminazione


La questione nazionale in Sardegna, come per ogni nazione senza – stato dell’Europa non può essere circoscritta al vuoto ed ipocrita concetto di “autonomia”, ma deve esser legata al diritto politico di autodeterminazione, di autodecisione, inteso come diritto di ogni nazione di separarsi dallo stato dominante in cui è stata artificialmente inglobata e costituirsi nella forma istituzionale che più gli è congeniale per raggiungere la felicità della sua gente . Continuare ad affermare invece il “diritto” all’autonomia è una presa in giro per i popoli che vivono sotto la forza dominante di uno altro- stato:

  • Perché lascia tutto il potere politico nelle mani dello Stato-Nazione-dominante;

  • Perché la vecchia idea autonomistica rischia di trasformarsi non in uno strumento di lotta contro le annessioni dello stato-italiano, ma in uno strumento di giustificazione di dette annessioni e del colonialismo economico e culturale.

Per rafforzare il “solo” bisogno di autonomia lo Stato dominante cerca di sminuire ed annullare le realtà nazionali. Simula la comprensione, riconoscendo con ostentata umiltà che il territorio soffre di sottosviluppo grave, esigente pertanto “ di uno sforzo economico e sociale cospicuo. E, di fatto, e successo ed accade oggi che certe misure spettacolari come il Piano Sulcis, i cantieri di lavoro per disoccupati aperti qua e là, i contributi a fondo perduto per l’agricoltura, le pensioni sociali elargite con notevole facilità , hanno ritardato e ritardino lo sviluppo della coscienza nazionale della Sardegna. A riprova di ciò le fabbriche che sono state impiantate in terra sarda risultano completamente estranee ad un progetto di sviluppo pensato e realizzato dalle istituzioni sarde, ed oltre ad elargire miseri salari, non lasciano altro che alienazione, inquinamento, disoccupazione e perdita della propria identità nazionale. E’ di queste ore la dichiarazione di un assessore della Giunta Pigliaru: il deposito dei fanghi rossi di Portoscuso è una montagna d’oro, basta valorizzarlo e renderlo produttivo, siamo proprietari di un tesoro (sic!). Tutto questo sforzo ha un preciso scopo strappare la Sardegna dalla “ notte” per dara ad essa “ luce e prosperità”. Boh? Aspettiamo.

Questo lavoro è portato avanti soprattutto da quella “intellighenzia” nostrana, che canta ai bei tempi attuali come i migliori, urlando di terrore per il passo indietro che si farebbe se la cultura dominata riuscisse a sollevarsi: in Sardegna tale “ intellighenzia” viene definita a “ casche” o “pisciacarta”.

Tutti questi riconoscono o hanno riconosciuto come giuste le rivendicazioni nazionali dei popoli dell’est, dagli armeni agli azeri, allo stesso tempo però negano i diritti di identità nazionale, di libertà e uguaglianza tra le diverse nazionalità, quando si tratta di applicarli all’interno dei propri confini dello stato centrale.

Succede cosi che le legittime lotte di liberazione nazionale dei corsi, baschi, catalani, galiziani e sardi vengono tacciate come atteggiamenti di rifiuto e di chiusura verso la “modernità” di una Europa proiettata verso un futuro senza più barriere finanziarie politiche ed economiche. Chi non accetta di rinunciare ai propri ideali nazionali riceve l’appellativo di separatista ed anche di terrorista. In Sardegna si sente l’esigenza di portare avanti l’obiettivo di costruire un polo/fronte che raggruppi tutte quelle forze che si riconoscono nelle due discriminanti di lotta di liberazione nazionale e lotta di liberazione sociale. Le elezioni prossime regionali sono sempre più vicine – febbraio 2019 – questo raggruppamento deve pertanto lavorare affinché vengano coinvolti sempre più settori popolari, attraverso la creazione di organismi a partecipazione libera ed individuale in modo da rappresentare le realtà specifiche della questione sarda.

Bisogna incontrarsi e parlarsi. Rossomori deve farlo incominciando ad incontrare tutte le forze politiche che hanno cervello cuore e gambe in Sardegna.


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