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Questione sarda ed intellettuali.


Settanta anni fa, agli inizi del Primo Piano di Rinascita, un giornalista sardo fu inviato, da un giornale anch’esso sardo, per fare un’inchiesta in un villaggio contadino della Sardegna meridionale, proprio per verificare che cosa pensassero i contadini sardi dei seicento miliardi del neonato Piano di Rinascita. Ecco quattro risposte.

Primo contadino: “si mangeranno tutto, prima che qui, da noi arrivi un soldo”.

Secondo contadino: “ dove c’ è denaro : c’ è sempre gente pronta a mangiarselo” Terzo contadino: “ A noi contadini non né verrà alcun bene; se ci sarà da mangiare, altri mangeranno, non noi.

Quarto contadino: “Ho paura che questi miliardi ve li mangerete tutti, alla faccia nostra”.

A pensarci bene, questa triste e monotona coniugazione del verbo mangiare, significava che i contadini sardi ci accusavano di una sola cosa, dell’unica cosa che in fondo che conta: di mangiare, anzi di mangiarci anche la loro parte.

Sono passati più di settant’anni, i contadini avevano ragione i SEICENTO MILIARDI di lire del PIANO DI RINASCITA sono stati mangiati.

Cosa è avvenuto, insomma, del Primo Piano di Rinascita?

È avvenuto, insomma, che la regione, la grande mediatrice seguendo la logica che Franz Fanon descrive ne “I dannati della terra.”, invece di decolonizzare ha fatto di cinghia di trasmissione all’ultima forma di colonialismo: l’industria petrolchimica privata, finanziata coi soldi pubblici. Ancora una volta, insomma, la logica del colonialismo, in Sardegna, ha vinto. A pensarci proprio bene, è avvenuto anche questo: fino agli inizi degli anni sessanta, bene o male, la Sardegna parlava sardo, che era il linguaggio del pane, dell’erba e della pecora; oggi parla italiano anche per la complicità dei mediatori locali: ed è proprio vero che in Sardegna gli unici italiani sono gli intellettuali che parlano in italiano ma mangiano in sardo. La lingua è un problema politico non linguistico. La lingua è il mezzo, non il fine. E proprio dai valori linguistici bisogna partire, non solo e non tanto per parlare in sardo ma per pensare in sardo, per fare scelte in sardo, insomma per opporre la logica del popolo sardo alla logica del colonialismo economico, militare, culturale e linguistico. Per questo il dovere dell’intellettualità è indagare, rappresentare, interpretare la realtà politica, secondo scienza, verità e moralità. Oggi i partiti politici o, meglio, i vertici politici, in Sardegna, non sopportano, anzi, soffocano o estromettono, gli intellettuali che propongono ideologie, progetti alternativi o utopie. Perciò proprio in questo preciso momento storico, in Sardegna si è aperta una polemica, anzi una disamistade: da un lato i vertici stabilizzati dei partiti politici così detti tradizionali, che rifiutano le elaborazioni di gruppi di intellettuali legati ad una vasta base di scotenti (disoccupati, emigrati, emarginati, indipendentisti, sovranisti e cani sciolti, eccetera); dall’altro lato questi gruppi di intellettuali tendono a diventare movimenti politici/associazioni, anzi elettorali, chiaramente destabilizzanti come già avvenuto in altre parti in quelle Nazioni Senza Stato dell’Europa.

Questa intellettualità deve trovare spazio e attività all’interno del “Progetto Autodeterminazione” per promuovere battaglia su cinque punti, a mio giudizio, necessari e irrinunciabili:

  1. Riaprire la Questione Sarda, con la rimessa in discussione dello Statuto Speciale per la Sardegna;

  2. Rimettere in discussione la Costituzione della Repubblica Italiana al fine di prefigurare la creazione della Regione-Stato Associata all’Europa;

  3. Rimettere in discussione l’attuale progetto di sviluppo e l’attuale classe dirigente; nuovo progetto si sviluppo e nuova classe dirigente per fare dell’Assemblea Regionale di Sardegna l’unico centro delle decisioni politiche, economiche, culturali per l’eliminazione, nel futuro della logica del colonialismo politico, economico, militare e culturale

  4. Realizzare un progetto per l’edificazione di una collettività di liberi e di uguali, che soddisfi tutti i bisogni materiali e spirituali del Popolo Sa

Paolo Mureddu

p.s Mia figlia mi sta facendo notare che oggi è nato un partito che si chiama Liberi ed Uguali. A me una collettività di liberi e uguali piace.Pertanto l’espressione resta ed auguri al nuovo partito.


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